Storia del Centro

I primordi

La Psicoanalisi in Sicilia ha radici antiche. Freud stesso ne segna le prime tracce in uno storico viaggio a Palermo in compagnia del collega ed amico Ferenczi nell’estate del 1910. Nelle calde sere palermitane, ispirato, come lui stesso scrive alla moglie Marta “dalla bellezza di una città, elegante, pulita, che nulla ha da invidiare alle grandi metropoli come Firenze e Roma” e confortato dall’ospitalità del Weinen’s Hotel de France. Nella elegante Piazza Marina resa magica dai giganteschi Ficus, Freud inizia a scrivere il “caso Schreber” che ancora oggi può essere considerato un rivoluzionario capolavoro clinico.

Il pensiero di Freud fu importato stabilmente nella nostra terra da una grande donna della Storia Siciliana, Alessandra Wolff Tomasi di Stomersee che fu pioniera e fondatrice della scuola psicoanalitica siciliana.

Suo discepolo fu Francesco Corrao, fondatore del Centro di Palermo colto ed apprezzato pensatore della psicoanalisi.

Primi allievi di Corrao e cofondatori del Centro furono: Giuseppe Di Chiara trasferitosi poi a Milano, Aldo Costa, Nando Riolo. Il Centro appena formato si arricchì della presenza di Laura Sinatti (1931-1982) trasferitasi a Palermo da Firenze. Il Centro si è ulteriormente popolato nel tempo.

Storia delle origini

 La principessa di Lampedusa

          a cura di Malde Vigneri

Alessandra Tomasi, Baronessa Wolff di Stomersee, Duchessa di Palma, Principessa di Lampedusa può essere annoverata fra le figure femminili più interessanti della storia siciliana. Coltissima e poliglotta, appassionata psicoanalista, sposatasi con Giuseppe Tomasi di Lampedusa si trasferì a Palermo, innestandovi il proprio amore per la psicoanalisi.

Alessandra Wolff nacque a Nizza il 15 novembre del 1896 da una antica famiglia tedesca insediata nel Baltico naturalizzata russa e resa nobile da Pietro il Grande.

Trascorse i primi anni di vita frequentando il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo dove il padre, Barone Boris Wolff Stomersee, era alto dignitario al servizio di Nicola II. Alessandra quindi fu formata nello sfarzo della morente cultura zarista, nel vortice di crescenti tensioni sociali, in contrasto con gli ultimi sfavillii di una corte prossima alla destituzione dove rovava ancora spazio quella vivacità di uno spirito letterario che vedeva in Puskin, Tolstoj e Dostoevskij massimi esponenti. Avvenimenti che contribuirono a fare di Alessandra una donna leggendaria fra le più complesse e innovative del suo tempo. L’intera sua esistenza fu pervasa da un alone misterico e leggendario, così come leggendaria era la bellezza della madre, Maria Teresa Alice Laura Barbi di Modena, notissima liederista, molto amata da Johannes Brahms, e di cui Alessandra assorbì quel carattere spinoso e difficile che la avrebbe resa nella vita palermitana invisa a molti.

Ai primi moti della grande rivoluzione russa la famiglia dislocò da San Pietroburgo a Stomersee, dove nel settembre del 1918 a 22 anni Alessandra contrasse matrimonio con Andrè Pilar, un nobile raffinato e coltissimo, della cui omosessualità si vociferava e che rimase suo devoto amico anche oltre il divorzio.

Il matrimonio ebbe luogo un anno dopo la morte del padre, lo stesso anno in cui la Lettonia e la Lituania, terre tormentate da molteplici confische, furono cedute alla Germania. Quando Alice, rimasta vedova, si sposò con Pietro della Torretta, nobile siciliano, ambasciatore prima a Pietroburgo e quindi a Londra residenza dei due coniugi, e Lolette si trasferì in Italia, moglie di Augusto Bianchini, Alessandra assunse la proprietà del castello che amò profondamente prendendosene cura in ogni modo fino al definitivo spodestamento alla fine degli anni Trenta.

A Stomersee, in un clima di mutamenti storici e di travagli politici, Alessandra, che aveva studiato con Lolette all’Università di Monaco di Baviera, si lasciò attrarre e conquistare da una nuova e già rinomata disciplina, la Psicoanalisi, a cui si dedicò con l’impetuosità che la caratterizzava. Portata a termine, con il beneplacito del marito, una approfondita formazione presso l’istituto Psicoanalitico di Berlino, allora diretto da Karl Abrahm, dopo analisi didattiche con Felix Böhm, Max Eitingen e Hans Liebermann, iniziò la propria attività professionale a Stomersee con il famoso caso S., che costituirà argomento del lavoro scientifico presentato ad Edoardo Weiss nel ‘36 per l’acquisizione del titolo di psicoanalista associato. Alessandra lavorò anche a Londra, dove, nel clima cosmopolita che più le si confaceva, conobbe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nipote di Pietro, nobile siciliano tanto intelligente e colto quanto timido e schivo, di due anni più giovane di lei e che sposò nel ‘32, ottenuto il divorzio da Pilar, divenendo nel ’33 cittadina italiana. La residenza a Palermo fu resa fin dall’inizio difficile per la fredda accoglienza dell’aristocrazia locale e soprattutto per i dissapori con la suocera donna Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò. Beatrice, legatissima al figlio, mal si adattò ad accogliere nella propria casa quella donna così diversa dai canoni femminili siciliani, intollerante e coltissima, divorziata e per di più sostenitrice di una “nuova scienza” che sovvertiva l’omertà sul sesso e che osava scrutare e svelare i segreti dell’anima.

Dagli anni ’40, Alessandra si divise in più lunghe tappe di permanenza tra Roma e Palermo. Furono anni di grande proficuità scientifica, anni in cui la Signora della Psicoanalisi consolidò profondi rapporti culturali con Edoardo Weiss e con gli altri pionieri della psicoanalisi italiana: Cesare Musatti, Nicola Perrotti ed Emilio Servadio. Con loro collaborò a rifondare nella sede nazionale di Roma la Società sopita negli anni di guerra. Contribuì all’organizzazione di congressi nazionali ed internazionali presentando importanti contributi fra i quali “Sviluppi della diagnostica e tecnica psicoanalitica” in cui viene anticipato il concetto clinico oggi notissimo di “struttura borderline”. Dei molti lavori, di inalterato interesse per l’attenzione a zone inesplorate della mente ed a fenomeni su cui nessun altro si è mai addentrato, indimenticabili restano la descrizione, di grande valore anche letterario, del caso di Necrofilia (“L’aggressività nelle perversioni”) e della famosissima vicenda clinica, felicemente portata a guarigione, de “L’Uomo-Licantropo”. Unica fra le donne rivestì, dal ’54 al ’59, la carica di Presidente della Società Psicoanalitica Italiana che lei stessa aveva contribuito a fondare. Non adeguatamente valorizzata e riconosciuta dall’ortodossia psichiatrica, ancora intrisa di una ideologia organicista, né per altro dalla sua stessa cerchia nobiliare cittadina, fu amatissima dai pazienti e dagli allievi che numerosi si riunivano attorno a lei e che ancora oggi la ricordano e la celebrano con grande stima ed affetto. Di tutti, uno in particolare, Francesco Corrao, che l’ha oramai raggiunta nella terra dei grandi, ne accolse l’eredità analitica facendosi promotore nel 1978 della ratifica legale del Centro Psicoanalitico di Palermo che oggi ferve della stessa passione scientifica dei pionieri che gli diedero vita.

La Principessa di Lampedusa  morì in tarda età, ad 86 anni, nel palazzo di Via Butera, il 22 giugno del 1982.

Lavori pubblicati della Principessa di Lampedusa:                                                                             

Sviluppi della diagnostica e tecnica psicoanalitica.

Relazione tenuta al I Congresso della S.P.I. – 22-23- ottobre 1946

Psicoanalisi, n. 2, 1946

(introduce la categoria del Borderliners)

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L’aggressività nelle perversioni

II° Congresso (Narcisismo aggressivo)

Roma – 1950

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Le componenti preedipiche dell’isteria d’angoscia

Rivista di Psicoanalisi, n. 2, 1956

٭

Necrofilia e istinto di morte

(Osservazioni su un caso clinico)

Rivista di Psicoanalisi, n. 3, 1956

٭

La spersonalizzazione

Allocuzione introduttiva

al XXI Congres des Psychanalystes des langues Romanes

Roma, 7-9 aprile 1960

Rivista di Psicoanalisi, n. 1, 1961

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Uno spostamento e due meccanismi di difesa

 per il sorgere della nevrosi ossessiva

Presentato al Centro di Psicoanalisi di Palermo, 1984

Pubblicato (a cura di Malde Vigneri) con il titolo

“Il patto con il diavolo” nella Rivista di Pasicoanalisi, 2/2008

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Il caso di Licantropia (a cura di Malde Vigneri)

Pubblicato nella Rivista di Psicoanalisi, 2/2008

Francesco Corrao

         Note biografiche a cura di Lucio Sarno

Francesco Corrao nacque a Palermo, dove ha sempre vissuto, il 14 dicembre 1922. Si iscrisse all’Università all’età di 16 anni, si laureò in Medicina e Chirurgia nel 1948, e si specializzò in Neuropsichiatria nel 1952 discutendo una tesi “Sull’angoscia”.

Nel 1952, parallelamente al conseguimento della specializzazione, portava a compimento il suo training di Psicoanalista e conseguiva la qualifica di Membro Associato della Società Psicoanalitica Italiana e della International Psychoanalytical Association.

Corrao aveva effettuato la sua formazione analitica personale dal 1945 al 1952 con Alessandra Wolff Tomasi, Principessa di Lampedusa[1], ed il suo training presso l’Istituto di Psicoanalisi Romano.

Nel 1955 Corrao acquisiva la qualifica di Membro Ordinario e nel 1960 quella di Didatta con funzioni di Training.

Negli anni che vanno dal 1969 al 1974 fu Presidente della Società Psicoanalitica Italiana, e tra il 1980 e il 1984 ne fu Segretario Scientifico Nazionale[2].

Nel 1978 Corrao dava fondazione ufficiale al Centro di Psicoanalisi di Palermo di cui diveniva Segretario Scientifico[3]; del Centro Corrao sarebbe stato poi Presidente fino al momento della sua morte.

Nel frattempo la sua attività di ricerca nel campo della Psicoanalisi di Gruppo (avviata già nella seconda metà degli anni Sessanta), dava origine ai Centri di Ricerca Psicoanalitica di Gruppo di Roma (il cosiddetto Centro del Pollaiolo) e di Palermo[4]. La formazione degli Psicoanalisti di Gruppo avrebbe poi trovato collocazione nell’Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo (IIPG) da lui fondato nel 1991. Anche di questa Istituzione Corrao sarebbe stato Presidente fino alla sua morte.

La vita e la  Psicoanalisi: tra Palermo e Roma

La vita di Corrao si è tutta spesa tra Palermo e Roma, al servizio della Psicoanalisi.

A Palermo si svolse la sua attività professionale clinica con i pazienti e con gli allievi in formazione con l’analisi didattica, a Roma la sua attività d’insegnamento in seminari e supervisioni con gli allievi dell’Istituto di Psicoanalisi Romano. A Palermo diede vita al Centro di Psicoanalisi ed al Centro Ricerche Psicoanalitiche di Gruppo promuovendo un’attività intensa attraverso Seminari e Convegni[5], a Roma ricoprì in seno alla Società Psicoanalitica Italiana cariche istituzionali prestigiose ed avviò l’attività di ricerca clinica sui gruppi da cui presero vita, come detto, “Il Pollaiolo” e l’Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo.

Per corrispondere ai suoi impegni istituzionali e dar compimento ai suoi progetti, in nome di una passione (la Psicoanalisi)  e di un’idea (sottrarre Palermo da una condizione di isolamento geografico-culturale legato alla sua insularità, e fare della sua persona l’elemento propulsore di un gruppo capace di proporre idee innovative nel campo della teoria e della clinica psicoanalitica), a Roma si recò ogni settimana per quasi quarant’anni per quella che egli amava definire come le sue “gite”, come a voler sottrarre ai trasferimenti, in parecchi casi avventurosi, ogni sorta di faticosità a favore di uno spirito appassionato che al travaglio del pensare ed all’attività formativa attribuiva una valenza nobilmente ludica.

Ed il destino ha voluto che l’ultimo seminario della sua vita agli allievi dell’Istituto di Roma, concluso appena due ore prima della sua morte, fosse proprio dedicato a Winnicott, lo psicoanalista che più di ogni altro al gioco aveva riservato un posto di rilievo tra le attività della mente umana ed alla dimensione ludica dignità nella relazione clinica.

Corrao a Palermo

Non si può dire che Palermo abbia ripagato con un adeguato sentimento di gratitudine l’amore appassionato, ma schivo, di una nobile figura quale fu Corrao. Non mi riferisco naturalmente ai suoi pazienti, nè ai suoi Allievi, e neppure ai giovani appassionati ed agli appassionati intellettuali (i cosiddetti “cultori della materia”) che ebbero la fortuna di frequentarne il pensiero nelle tante occasioni pubbliche in cui dava dimostrazione della estensione sterminata delle sue conoscenze scientifiche e della sua raffinata cultura, ma alla Palermo ufficiale, quella accademica in prima istanza, che non seppe comprenderne e valorizzarne il genio, e quella delle Istituzioni, che in vita non gli tributò alcun riconoscimento.

L’Università e la professione (gli inizi)

Iscritto alla Facoltà di Medicina, prima di conseguire la laurea (1948), per due anni Corrao interruppe gli studi per frequentare Corsi presso la Facoltà di Filosofia: “A Palermo facevano allora lezione tre filosofi di valore, Gino Ferretti, Vito Fazio Allmayer e Antonio Renda, uno psicologo che nel 1907 aveva pubblicato un articolo sulla Rivista di Filosofia a favore dell’introspezione, del soggettivismo in psicologia, un antesignano insomma. Ferretti aveva studiato a Ginevra, all’Istituto Jean-Jacques Rousseau, all’epoca di Claparède, ai primi del Novecento. Era una persona di grande talento, di cultura molto vasta, ma soprattutto aveva interesse per la ricerca nel campo della psicologia infantile, in ambiti prossimi a quelli che avrebbe sviluppato la Psicoanalisi: l’oggetto primario, la descrizione del rapporto del bambino al seno e dei suoi ipotetici vissuti, l’area ludica ed il gioco in linea con quanto sviluppato successivamente da un grande analista come Donald Winnicott… Ferretti aveva inoltre una grande capacità di animare l’inventività del gruppo attivando esperienze creative: esercitazioni sul piano immaginario fondate sull’immedesimazione… Erano molto interessanti gli incontri fra i tre, allargati talvolta a Santino Caramella, grande intellettuale, letterato e filosofo, particolarmente dedito alla Teosofia, e a Gastone Canziani, medico e psicologo triestino, che a Palermo avrebbe fondato da lì a poco l’Istituto di Psicologia e che proprio per la presenza della Lampedusa fu stimolato a esercitare la Psicoanalisi, anche senza avere una competenza specifica.

Dopo la laurea Corrao lavorò per alcuni anni come assistente presso la Clinica delle Malattie Nervose e Mentali, ma ebbe grosse difficoltà a conciliare i suoi interessi di studio ed il modello psicoanalitico di riferimento con l’orientamento marcatamente organicistico dell’allora Direttore della Clinica: “Con Coppola non c’era affatto intesa, proveniva dalla scuola di Tanzi e Lugaro in fierissima opposizione con la Psicoanalisi”. Ma le cose peggiorarono quando Direttore della Clinica divenne il Professore Rubino; e così all’inizio degli anni Sessanta, a motivo di una crescente insoddisfazione e di una progressiva emarginazione, Corrao lasciava definitivamente la Clinica. Tuttavia negli anni lì trascorsi come assistente ebbe il tempo di introdurre all’Università temi innovativi di ricerca nel campo della psicopatologia clinica e sperimentale (esperimenti di narcoanalisi, ovvero di ipnoanalisi indotta farmacologicamente), dell’insegnamento (corsi liberi di Psichiatria Sociale e di Igiene Mentale di taglio psicodinamico), e della psicodiagnostica (fu lui ad avviare a Palermo l’uso diagnostico dei test di personalità, di quelli proiettivi e di quello di Rorschach in particolare).

Contemporaneamente all’attività universitaria, ed ancora per qualche anno successivamente all’abbandono forzato della carriera accademica, per una decina d’anni Corrao mantenne un incarico pubblico nell’ambito psicologico-psichiatrico. Dal 1956 al 1966 guidò infatti come Direttore l’Equipe di Osservazione Psicologica per la Diagnosi e la Terapia presso il Centro di Rieducazione (maschile e femminile) del Ministero di Grazia e Giustizia, articolato al Tribunale per i Minorenni di Palermo. In questi dieci anni condusse un’opera importante nell’ambito della formazione degli operatori dell’équipe, cui diede una impostazione innovativa sia per quanto riguarda le indagini sulla personalità dei minori, che per quel che riguarda i metodi di trattamento. Compì in quel periodi studi sulla patogenesi della criminosi dedicando particolare interesse alla teoria kleiniana delle relazioni d’oggetto.

Anche per quel che riguarda la pratica psicoanalitica Corrao manifestò sin dall’inizio una posizione aperta ed innovativa animata da uno spirito di ricerca ardito. Il suo impegno clinico fu subito dedicato all’analisi degli psicotici ed allo studio del controtransfert nella relazione con gli schizofrenici; la loro cura richiese in alcuni casi la “rottura del setting tradizionale” ma il successo terapeutico fu significativo. Tali interessi di studio e di cura, così come già gli esperimenti di ipnoanalisi, suscitarono discussioni animate con la Principessa Tomasi di Lampedusa per via del carattere rischiosamente innovativo loro attribuito, ma Corrao continuò con coraggio il suo percorso, potendo contare infine sulla stima incondizionata della Principessa.

Corrao e Palermo

 A differenza della Principessa, che alla vita palermitana avrebbe progressivamente preferito i soggiorni romani, a Palermo Corrao continuò a vivere ritirandosi progressivamente nel suo studio-biblioteca, da lui stesso considerato come un “osservatorio”privilegiato per la comprensione della sofferenza individuale e collettiva, “per ritradurre i suoni incomprensibili” provenienti dalla Città:

La città di Palermo -diceva a Roberto Andò che nel 1980 era andato a intervistarlo- è, culturalmente parlando, un arcipelago; un arcipelago non solo su un piano, ma su diversi piani, col risultato di una struttura un po’ mostruosa ed assurda, dove coesistono con disinvoltura isole culturali elevatissime e isole culturali a livello bassissimo, come quella di tipo criminale, la mafia […].

C’è questo galleggiare, questo fluttuare di isole nell’arcipelago mostruoso a cui si aggiunge la frammentazione della storia che costituisce l’unico sfondo in cui ci muoviamo. Io stesso, se dovessi dire, appartengo ad una terra? Macché… forse sono un ebreo portoghese, come risulta dalle ricerche di mio nonno. Origini lontane, che risalgono al ‘500: Re Giovanni del Portogallo dovendo sposare la figlia di Ferdinando e Isabella cattolici, coloro che nel 1942 fecero quel feroce e terribile editto di espulsione degli ebrei dalla Sicilia e dalla Spagna – settecentomila ebrei cacciati dalle loro case, un genocidio – costretto a quel matrimonio da ragioni dinastiche, pur avendo sino a quel momento resistito, dovette nel ‘509 cacciare gli ebrei portoghesi. Fu in quella occasione che questi Corrao allargarono nelle coste siciliane, come testimonia la proliferazione di Corrao da Alcamo a Termini. La mia famiglia rappresenta perfettamente la diaspora […].

L’abitante di una città come Palermo (tante volte occupata, violentata) vive una precarietà identitaria mista al sentimento di sovraimpressioni (contaminazioni) successive che lo pongono tendenzialmente in una posizione difensiva di stile paranoicale.

Dei tre  miti (“Il Ciclope, Persefone ed Empedocle”), esemplificativamente citati da Corrao a rappresentare “l’immaginario collettivo” locale, particolarmente illuminante risulta nella circostanza quello del Ciclope:

            Il mito del Ciclope va inteso come raffigurazione della ciclopsia, cioè della propensione ad usare uno sguardo circolare motivato da preoccupazioni ispettive, investigative, inquisitorie, sostenute da esigenze di difesa, da diffidenza o atteggiamenti di sospetto. Lo sguardo sospettoso richiama lo stile paranoico della relazione con l’altro che anima fantasie di persecuzione o intrusione […]. Questo Ciclope panopticon, figura mitica dell’essere osservati e dell’essere diffidenti è un tratto culturale profondo… direi il disegno continuo di una vera e propria liturgia spionistica che vetrifica e rende immobile la realtà […]. La diffidenza e il sospetto inducono poi una difficoltà di aggregazione, difficoltà di condividere progetti comuni, uno sfondo continuo di incrudeltà riguardo al progettare, una lesione della dimensione del futuro, anche il più immediato, che corrisponde a questo tipo di adagio: non vale la pena di progettare perché tanto non si può realizzare, non vale la pena realizzare perché comunque sarà distrutto[6]. La città […] assume così l’aspetto di una vera natura morta poliforma. Oggetti, animali, piante, paesaggi, statue, sono senza valore, deperibili, distruggibili, sì da determinare una specie di eterea necrofilia che privilegia paradossalmente la persistenza di macerie, case distrutte, sventramenti e vuoti.

Ma se da tali macerie è difficile far nascere progetti, soprattutto a dimensione comunitaria; se è vero che comunque “l’assenza di condizioni di comunanza praticabili è fonte di infelicità e sintomo di disgregazione”, e se è vero che tali condizioni costringono il genio a coltivare il percorso intellettuale di una dimensione necessariamente solitaria, per cui si può dire che “la storia culturale in Sicilia è fatta di solitudini che si susseguono”, tuttavia è anche vero che tale necessità può rivelarsi una forza e che Corrao rappresenta una conferma di tale forza ed una nobile eccezione nella capacità di dar realizzazione a progetti collettivi, sottratti allo spirito individualistico locale.

Corrao nella solitudine della sua vita cittadina, ai limiti dell’isolamento, ha trovato la forza per dar vita ad un pensiero in cui l’eclettismo sconfinato e l’arditezza del pensiero fanno il pari con la coerenza metodologica e la fedeltà al modello psicoanalitico freudiano.

Corrao, pur tra le mille difficoltà ambientali, ha dato pienezza all’affermazione scientifica e professionale della Psicoanalisi a Palermo in misura superiore a quella di cui ha goduto la stessa in altre città geograficamente e culturalmente avvantaggiate.

Corrao ha dato vita ad un gruppo, scientificamente accreditato, a contatto con le posizioni culturalmente più avanzate nella concezione teorico-pratica della Psicoanalisi individuale e di gruppo; ha dato vita ad una Scuola, ed ha contribuito grandemente all’affermarsi di una via italiana alla Psicoanalisi: nella professione privata, nelle Istituzioni, nella vita culturale e nella società.

Francesco Corrao è morto il 23 aprile 1994 sulla via tra Roma e Palermo di ritorno da una delle sue “gite” settimanali che era solito compiere ormai da quarant’anni.

Gli scritti di Corrao, sono stati raccolti dai suoi allievi Fernando Riolo e Lucio Sarno, con la collaborazione della moglie Teresa Corrao, in una  pubblicazione in due volumi “Orme – Contributi alla psicoanalisi”, Raffaello Cortina Editore, 1998.

[1] La Principessa, d’origine baltica, dopo aver lasciato la Lituania, dopo aver frequentato per quattro anni (1927-31) l’Istituto Psicoanalitico di Berlino, ove si era formata con Felix Bohm, e dopo essersi recata a Vienna e a Londra, era infine approdata a Palermo al seguito del marito Giuseppe Tomasi, Principe di Lampedusa.

[2] In quegli anni, come Segretario Scientifico, Corrao curò il programma tematico del Congresso Nazionale di Psicoanalisi di Taormina (1980) su “La relazione analitica”, e quello del Cinquantenario (Roma, 1982) dedicato a “Terapia e conoscenza”. In quello stesso periodo (1981-82), come direttore della Rivista di Psicoanalisi curò il monumentale numero monotematico dedicato a Bion. Corrao aveva già ricoperto, negli anni della sua Presidenza della SPI (1969-74), l’attività di direttore della rivista.

[3] Presidente onorario era allora la Principessa Alessandra Tomasi di Lampedusa che, dopo la morte del marito avvenuta nel 1957, aveva nel tempo ridotto progressivamente la sua permanenza a Palermo.

[4] L’attività di ricerca della Psicoanalisi di Gruppo che si svolgeva presso il “Pollaiolo” e presso gli altri Centri di Ricerca Psicoanalitica di Gruppo favorì la nascita di una rivista di Psicoanalisi di Gruppo di cui Corrao fu l’animatore e a lungo il direttore. Si trattava della rivista Gruppo e Funzione Analitica, che di recente ha preso il nome di Koinos.

[5] A partire dalla fine degli anni Settanta, i Colloqui di Psicoanalisi di Palermo hanno animato la vita culturale della Società Psicoanalitica Italiana. Ne ricordiamo i temi: “Lo statuto del Paziente” (1978); “Memoria e oblio” (1982); “Del genere sessuale” (1988); “Sulle passioni” (1989); “Sulla melanconia” (1991). All’inizio degli anni Ottanta si svolse a Palermo anche il Congresso di Psicoanalisi di Gruppo celebrativo di Bion su “Senso, mito, passione”.

[6] Invidiare viene da invideo, mettere l’occhio dentro l’altro. Tanto è vero che l’ostruzionismo prende la forma, qui a Palermo, di un vero e proprio progetto. Roma può essere altrettanto corrotta di Palermo, ma non può conoscere la qualità dell’ostruzionismo di Palermo. Non parliamo di Milano dove c’è la massima tolleranza, a livello del resto dell’Europa. Fornari a Milano può essere il capo di una scuola, può stampare i suoi libri, e non subire ostruzionismi a vario titolo. Il suo valore può o non può essere criticato, c’è comunque un terreno di fair-play in cui ognuno può esprimersi e farsi ascoltare”.

Francesco Siracusano

         a cura di Diletta La Torre

E’ stato uno psicoanalista vero, e quindi non soltanto uno psicoanalista, sia pure abile, colto, originale. Nella psicoanalisi ha fatto confluire: la grecità, i filosofi, i logici, gli antropologi, la scienza, la medicina; il sapere alto e la saggezza popolare, il dialetto, tutta la sua esperienza di vita dallo studio all’andar per mare, dalla professione alla caccia, alla pesca…( diceva dei suoi “amici-pescatori”: sono stati anche loro miei maestri ), e, naturalmente, i suoi affetti, profondi e schivi.

Rileggendo i suoi scritti si rimane sempre colpiti dal suo linguaggio e dal suo pensiero. Non usa quasi mai un linguaggio tecnico-gergale (lo psicoanalese) ma una lingua viva, ancorata all’esperienza, al corpo, alla natura e alla cultura nel senso più ampio. Il suo stile, inconfondibile, oscilla dal rigore scientifico alla pura poesia, come se volesse esprimere quella compresenza di codici (modo asimmetrico e  modo simmetrico) che caratterizza lo stato mentale. Il suo pensiero, denso, articolato in modo lineare a volte, altre liberamente associativo, è essenziale e complesso insieme, sempre invita a liberarsi dalla preoccupazione di aderire a questa o a quella teoria o assunto scientifico e si nutre di tutti gli apporti, oltrepassandoli verso nuovi orizzonti.

VITA- Nato a Lipari nel 1919, si laureò in Medicina nel 1942 a Messina, e iniziò la vita professionale come assistente presso la Clinica delle malattie nervose e mentali; i suoi  primi lavori (dal 47 al 52, quando lasciò la clinica) riguardano argomenti neurologici. Ma presto si dedicò alla psicoterapia, sollecitato dal suo direttore  prof. Pisani che gli affidò il primo caso, un ragazzo molto grave, che egli seguì a domicilio. Fu un’esperienza importante, il ragazzo si ripresentò, dopo molti anni, ormai adulto per ringraziarlo. Si accostò così alla psicoanalisi e iniziò il training; l’incontro con Matte Blanco fu un incontro felice.

Così ne scrive in un suo lavoro (1988):

“il pensiero del prof Matte Blanco mi ha affascinato fin dall’inizio e ne ho seguito con attento interesse lo sviluppo sempre più ampio e sorprendente. Non nascondo che a volte ho sentito lo stupore di una sconvolgente e quasi  timorosa scoperta e a volte la soddisfazione di disporre di strumenti nuovi per la comprensione dei comportamenti umani e sociali.” Anch’io posso dire lo stesso di me nei confronti del suo pensiero.

In seguito divenne professore di Psicologia sociale presso la facoltà di Scienze politiche, partecipò al gruppo di “simbolica politica” creato dal prof. Giulio Chiodi, filosofo ( ha contribuito con scritti quali: “la lotta fra fratelli”, “il mito onnipotente del potere” ). Ritornò alla Facoltà di Medicina come docente di psicoterapia presso le scuole di specializzazione di Psichiatria e Igiene Mentale. Ebbe così diverse generazioni di studenti, di ambiti diversi, sempre avidi dei suoi insegnamenti. Formò analisti individuali e di gruppo, e fece molte supervisioni con competenza e tanta passione. Soleva dire, a proposito dei vari colleghi “anche lui (o lei) è passato da me”!

L’ANALISTA Ma com’era come analista? Chi è stato in analisi con lui lo sa, vorrei solo molto brevemente attraverso qualche citazione tratta dai suoi lavori, darne un’idea. Da: “la comunicazione in analisi”:

“l’analista quando interpreta può  trascurare il messaggio vero e reale per sfruttare segni più compositi del dialogo analitico. Sia detto che è anche difficile decidere se un messaggio che contenga in modo estremo una verità e una realtà del paziente debba essere decifrato e interpretato o ascoltato nella coalescenza ineffabile del silenzio analitico. Solo la sensibilità immediata e imprevedibile può suggerire l’attesa risposta. Ascoltare è già rispondere.” O ancora da: “l’attesa reciproca

“Analista e paziente sono in attesa di un’epifania, di un’apparizione. L’interpretazione è l’attesa di qualcosa di inatteso: essa sorprende e non dice ciò che da tempo era atteso, perciò non può e non deve essere mai prevista e tanto meno preorganizzata. Il silenzio durante la seduta è a volte un ripresentarsi dello stato di attesa che precede la seduta. Analista e paziente ripetono antiche e recenti situazioni ed esperienze di attesa in tal caso inesprimibili e forse non interpretabili. La comunicazione non verbale dà senso ed effetto a questa pura presenzialità contenitrice di sentimenti e talora di pensieri selvaggi….La teoria ha per l’analista la stessa funzione che la rappresentazione d’attesa ha per l’analizzando…analista e analizzando si incontreranno nell’attesa dell’interpretazione”.

Ha anticipato i temi della relazione analitica, della coppia e del campo- tema caro a  Corrao e da lui creativamente ripreso- che oggi sono consueti ma allora erano poco ortodossi. Siracusano non idealizza e soprattutto non feticizza l’interpretazione, essa non è mai un fatto scontato, una ripetizione routinaria. Interpretazioni scolastiche? Mai. Rifuggiva da certi cliché o vizi tipici, come l’interpretazione dell’angoscia di separazione dall’analista nel fine-settimana. Per lui era importante non sentirsi troppo importante per il paziente anche se sapeva di esserlo, non rimandava il peso di questa importanza ma l’assumeva come propria responsabilità etica e di funzione. Non interpretava meccanicamente o con superiorità, ad es. di fronte a un lapsus, diceva: “aspetti, aspetti, come ha detto? Si è accorto …bene, che ne pensa?” Preferiva lasciare che il paziente fosse il protagonista della seduta e che contribuisse  alla scoperta.

Forse pochi sanno che egli fu attratto dalla chirurgia, anzi all’inizio della sua professione medica, in tempo di guerra, si trovò spesso in situazioni di emergenza ed operò varie volte. Fu allora che imparò l’audacia e l’esattezza, la precisione e la tempestività necessarie ad affrontare casi acuti. Diceva che noi dobbiamo usare le parole come un bisturi, le parole penetrano in profondità, attraversano strati e strati di “tessuto mentale”, e come il bisturi possono guarire se asportano parti malate o danneggiate, o fare danno, ferire, incidere le parti sane, provocare emorragie, emorragie di libido; o alterare la trama del sé. Per questo le sue interpretazioni erano così: precise, puntuali, rapide, come incisioni chirurgiche; a tappe successive, dopo aver preparato accuratamente “il campo operatorio”, giusto quel tanto necessario e non più. Parola misurata, dunque, e precisa come un lieve, deciso tocco al timone per riprendere la rotta e poi aspettare la navigazione spontanea, condotta dal paziente e sospinta dal suo proprio vento o spinta libidica e aggressiva.

L’analista, dice ancora interrogandosi a proposito dell’esperienza del paziente come “oggetto assente”, deve essere come il vasaio. Il vasaio non propriamente costruisce la brocca, ma dà forma all’argilla, dà forma al vuoto, così l’analista non deve riempire un vuoto ma deve continuare ad essere il vasaio che dà forma al vuoto, al pensiero che costituirà le premesse di un’offerta di costruzione. “Se il paziente viene pensato, allora sarà vivo e reale”.

FORMATORE -Ora voglio ricordare Siracusano come formatore. Una frase di Freud, un frammento clinico, una supervisione individuale o di gruppo erano lo spunto per un’amplificazione di significati, con grande libertà e creatività associava fatti ed eventi apparentemente dissimili e lontani e trovava una chiave di lettura mai scontata e sempre stimolante. Poteva spaziare dal sintomo a un fatto di cronaca, dai fenomeni sociali e politici al comportamento degli animali, da una frase dialettale, a un uso a un rito, ecc, e invitava gli altri a fare altrettanto. Esortava a non avere fretta, diceva che le sue non erano divagazioni, come pareva, infatti alla fine, ogni cosa che diceva trovava il suo posto o luogo dentro il paziente e serviva per capirlo o meglio per vederlo o leggerlo da un altro verso (dall’alto in basso o da destra a sinistra oppure al contrario). Sintonizzandosi con questa modalità si veniva a costruire un nuovo vertice e allora quella citazione teorica, quel pezzo di seduta, quel fatto di cronaca assumevano una nuova forma, ricca, suggestiva, densa di rimandi ma anche singolarmente precisa e adatta a ciascuno dei partecipanti. Ciascuno faceva l’esperienza di ritrovare qualcosa di sé, si svelava qualcosa di sconosciuto all’interno di ciascuno.

Creava la stessa atmosfera conoscitiva ed emozionale molto particolare anche quando faceva le relazioni e i seminari, per questo la sua parola era molto attesa e non deludeva.

IL GRUPPO – Egli fu didatta dell’IIPG e per molti anni presidente dell’IIPG e poi presidente onorario a lungo, come per altre associazioni, di cui dirò.

Già la psicologia sociale lo predisponeva all’incontro con la psicoanalisi di gruppo che incontrò con Corrao nel primo centro al Pollaiolo. Qui si respirava un clima molto intenso di ricerca e di passione, di invenzione. “Siamo stati dei pionieri”, diceva a proposito della psicoanalisi di gruppo, prima detto “gruppo esperenziale”. Egli portò nella nostra città la psicoanalisi individuale e di gruppo. Senza di lui non avremmo avuto né l’una né l’altra.

Sentiva molto l’appartenenza alle istituzioni psicoanalitiche, pur conservando da isolano, la propria indipendenza di pensiero e di azione. Da didatta ha condotto i corsi seminariali per il centro di psicoanalisi romano, con impegno, passione e originalità e comunicando grande carica affettiva a colleghi e allievi. Ha partecipato alle varie commissioni della SPI, molte delle quali per la selezioni degli associati e degli ordinari, espletando queste funzioni sempre con grande serietà, pesando ogni giudizio, sempre sereno e senza fatica, fino a tarda età. Non ha mai lesinato il suo contributo alle varie iniziative che gli venivano proposte ad es. si occupò e si preoccupò della fondazione della sezione siciliana della Società di Psicoterapia Medica, pur essendo già molto anziano e ne accettò la Presidenza, fino a quando lasciò il testimone a Maurizio Guarnieri. Volle dare il supporto della sua autorevolezza anche ad un’associazione della nostra città il “Laboratorio psicoanalitico Vicolo Cicala” che inaugurò con un seminario sull’attesa, sostenendo con fiducia ed entusiasmo noi anziani e i più giovani colleghi, dedicando le sue residue energie-siamo agli ultimi anni della sua vita- al gruppo messinese con uno spirito giovane, rinnovando se stesso nell’incontro con i pensieri di tutti, esercitando la mente insieme a noi.

Ha lavorato nel suo studio fino alla bella età di 85 anni. Pensate che fino all’ultimo ha continuato a condurre un gruppo con gli allievi, anche dopo avere lasciato lo studio, lo teneva a casa sua. Stava molto bene così, attorniato dai giovani che lo tenevano vivo, e dal mare dello stretto, che se pure non era il “suo” gli ricordava la sua amata Lipari. Fra le sue carte ha conservato “l’ultima seduta di gruppo”.

Vorrei citare alcuni dei suoi lavori gruppali, ricorderò i suoi temi preferiti: il mito, il rito, il racconto.

MITO:

 “Direi che il mito è una trama di messaggio che non consente al tempo e agli uomini di disfarsi del significato delle cose e degli oggetti e l’interpretazione dei miti è proprio la ricerca di questo significato più o meno recondito ma sempre riproponibile sotto forma di discorso, di racconto, di fiaba, di leggenda, di memoria. Il mito è l’insieme delle esperienze umane vissute, fantasticate e create secondo moduli di pensiero che solo una mente primitiva ed ancora non soggiogata da rigide regole logiche si poteva permettere. Una mente primitiva plasticamente disposta a corrispondere a tutti i simboli che in uno stadio di continua iniziazione costruivano comportamenti, modelli, strutture individuali e comunitarie e le visioni del mondo del futuro”….

“il mito non è affatto definito o definitivo ma è un processo che si è svolto nel tempo o aldifuori del tempo, in una lenta elaborazione di sistemi e di esperienze individuali e collettive che sono maturati via via in riflessioni astratte simboliche e reali”.

IL RITO

“Intendo per rito quella manifestazione in cui il gruppo estrae da livelli profondi molto omogenei comportamenti che la sintesi tra individuo e collettività suggerisce e rinnova in un continuo, misterioso e magico scambio di sopravvivenza tra le regole della specie e la natura dell’ambiente.”

IL RACCONTO

“Il racconto è una funzione propria del gruppo, ne è la forma linguistica. L’uomo da solo parla e dice parole, nel gruppo parla e dice racconti. Il gruppo stesso è un racconto: il racconto di una fiaba, di una commedia, di un dramma, di un rito. Ogni volta che ci riuniamo creiamo un racconto…Il racconto è una voce che comunica tra persone che ascoltano, voce e ascolto uniti da un momento di emozione e di pensieri emozionali che si muovono nelle membra di ciascuno”.

Si tratta di brevi citazioni che non possono rendere né la ricchezza né la densità entrambe nascoste dall’apparente chiarezza e semplicità delle sue parole.

Ancora un  suo pensiero che riflette la sua modestia e la preoccupazione per l’altro chiunque esso sia, paziente, allievo, collega, estraneo:

“Uno degli errori maggiori che un analista può commettere è quello di considerare che il paziente sul lettino durante questa o quella seduta non sia tutta l’umanità. A volte il controtransfert negativo nasce dall’impossibilità dell’analista di contenere l’umanità del paziente.

Ancora più grave è l’errore di un analista di gruppo se non tiene conto che il gruppo che sta conducendo è un pezzo di umanità, qualunque essa sia, che vuole essere trattata come tale ed in cui ciascun componente vuole essere se stesso nell’umanità”.                     (da Introduzione allo studio del rito).

In ultimo vorrei ribadire l’importanza della sua eredità che va ben aldilà dei lavori pubblicati. Possiamo definire il suo pensiero metanoico prendendo spunto ancora dalle sue parole.

Da “i percorsi del pensiero paranoide”

“Si vuole intendere con metanoico un pensiero aperto (fatto di sistemi aperti) che segue un altro pensiero e ne prevede un altro ancora come conseguenza logica, come idea o costruzione nuova, evolutiva, riflessiva, multipla e dove soprattutto l’eventuale contraddizione non abbia l’effetto di un conflitto immobilizzante ma di una spinta verso un livello di comprensibilità superiore. E’ proprio del gruppo la sequenza di pensieri, di pensieri diversi nella loro origine più profonda …pensieri pronti al cambiamento, all’adattamento, alla fantasia, alla creatività, alla poliedricità….Il pensiero metanoico che ogni componente del gruppo esprime è sempre in qualche modo seguente, influenzato, dimensionalizzato dal pensiero precedente, arricchito, nuovo, stimolante.

Il pensiero emozionale metanoico del gruppo è pluridimensionale perchè ogni volta inserisce la dimensione di questo o di quel componente e di più componenti…per cui sempre l’emozione e il pensiero emozionale del gruppo è un fatto composito, ampio e disteso nello spazio mentale che di volta in volta il gruppo realizza.”

Appendice

Bibliografia  –Rivista di psicoanalisi:

Il paziente come oggetto assente, Colloquio di Palermo 1978

La comunicazione in analisi,  1980

Lo spazio nella relazione analitica, Congresso SPI, Taormina,1980

Il messaggio nascosto nell’oblio, RIP; 1982 n 3

Gruppo e funzione analitica:

L’esistenza ectopica del gruppo, 1986

L’attesa reciproca, 1988 n 1

Koinos:

Isole Arcipelago Introduzione al congresso, 1997, n.1-2

Affetti: Il limite dell’in divido, 1998 n.1-2

Gruppo e rito: Introduzione allo studio del rito, 2000,n.1

Paranoia-Metanoia, I percorsi del pensiero paranoie, 2000, n 2.

T.A.N.G.O. Il gruppo e lo spazio mentale,

La parola, il rito e il Gruppo, 2001,n. 1-2-

 

Altri lavori

La terapia psicoanalitica delle depressioni,1986

La paura del movimento ( un aspetto del narcisismo), Narcisismo,Nomos, Trasgressione, Teda ed. 1989

Alla ricerca dei danni che il principio di simmetria ..Teda ed

Un nuovo meccanismo di emarginazione, 1986 Atti XIII congresso naz. Lega di Igiene Mentale, Messina 1986

I Colloqui di Palermo

I Colloqui di Palermo, evento scientifico cui diede l’avvio Francesco Corrao nel 1978, rappresentano un momento di particolare interesse per il Centro di Psicoanalisi di Palermo, in quanto punto di approdo dell’attività scientifica che vi si svolge. I Colloqui costituiscono inoltre un’occasione preziosa di approfondimento dei temi fondamentali del pensiero psicoanalitico, e grazie alla partecipazione di soci provenienti da più parti d’Italia, hanno sempre realizzato momenti d’incontro, dialogo e confronto con la Psicoanalisi Italiana.

I colloquio : “Lo statuto del paziente nella relazione analitica” (1978)

II colloquio : “Memoria e oblio” (1982)

III colloquio : “Del genere sessuale” (1986) da cui è stato tratto il Saggio a cura di Lucio Russo e Malde Vigneri

IV colloquio : “Sulle passioni” (1988)

 V colloquio : “La malinconia” (1991)

VI colloquio : “Analisi dei sogni” (2002) da cui è stato tratto il Saggio a cura di Fernando Riolo

VII colloquio : “L’Inconscio” (2008)

VIII colloquio : “Il controtransfert” (2015)

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