CHI HA INCASTRATO CHICO FORTI? “ DI LORENZO MATASSA RECENSIONE DI MAURIZIO GUARNERI DEL LIBRO “

“A cosa serve la verità ? La verità che cerchi non esiste perché è negata dalle stesse forze che dovrebbero cercarla” dice Puzo a Chico Forti che indaga sull’omicidio di Gianni Versace. “…e perché è tanto difficile tenere in piedi la giustizia, qui” domanda Forti a Lorenzo Matassa, il quale risponde:” La giustizia non è di questa terra né di altre terre migliori di questa. E’ affidata all’uomo e alla sua fallibilità…”
Da un lato l’umanità tende verso la verità assoluta, verso la GIUSTIZIA perfetta basata sulla verità assoluta, dall’altro la gestione della giustizia è affidata a uomini che, con i loro limiti, possono fallire. La storia che racconta Lorenzo Matassa serve “per comprendere in che misura la giustizia possa ancora funzionare come strumento di ricerca della verità e articolazione della ragione. Il caso Forti è forse la migliore palestra per questo esercizio teoretico”.
Dalla lettura del libro emergono immediatamente delle osservazioni significative che ci propone chi scrive.
La prima considerazione da fare è che le differenze culturali tra i due paesi, come nel caso degli Stati Uniti e l’Europa, possono avere delle influenze su un processo a un imputato di nazionalità diversa dal paese dove si svolge il processo stesso: “nel luogo dove si pratica l’eccellenza calvinista è difficile trovare spazio per l’ umanesimo latino”. Inoltre un ulteriore fattore esterno è quello che in diritto internazionale viene chiamato il principio di reciprocità, cioè in termini semplici la regola che puoi fare agli altri quello che gli altri hanno fatto a te. Riguardo a questo specifico processo, sullo sfondo vi era il precedente della tragedia del Cermis, vicino a Trento, che aveva creato tra gli americani e gli italiani un conflitto; la vicenda attuale pertanto si colloca in un quadro di rapporti internazionali molto aspri e un dialogo diplomatico divenuto molto difficile, soprattutto nella prospettiva di una richiesta di estradizione dell’imputato.
Si può “dubitare di un sistema che non prevede la motivazione scritta della sentenza di condanna e che attribuisce al popolo, in modo sostanzialmente irrevocabile, il diritto di vita o di morte sull’imputato?” come è accaduto a Gesù, nel momento in cui Ponzio Pilato, “si lava le mani” facendo scegliere al popolo se salvare Gesù o meno.
Un fattore che può limitare l’avere a disposizione dei dati necessari per arrivare alla verità è costituito dai cosiddetti diritti Miranda, cioè la facoltà di tacere e persino di mentire per un imputato mentre il testimone ha il dovere di dire sempre la verità .(Nel caso di Forti si è configurata una situazione paradossale perché prima è stato interrogato come testimone e non si è potuto avvalere della facoltà di non rispondere, poi quando è stato ritenuto colpevole aveva già risposto alle domande che gli erano state poste ).
Secondo la REGOLA WILLIAMS, si può fare una connessione diretta tra l’ottenimento del guadagno indebito e la consumazione dell’omicidio. In questo modo si possono creare falsi nessi che possono portare a false teorie. Anche le menzogne devono essere attentamente valutate e non collegate automaticamente al reato: può essere errato tradurre una bugia in prova di colpevolezza,
infatti essa può essere motivata da un’altra situazione della vita del soggetto.

La polizia tende una trappola a Chico Forti utilizzando una menzogna: se può essere dubbio come metodo di indagine, è certo che in questo modo sono inquinati, irrimediabilmente, i diritti del soggetto sottoposto ad indagine.
Esistono anche altri fattori, che forse non si conoscono o non sono dimostrabili, per esempio l’ipotesi che vi sia stato un gruppo di tedeschi, tra cui T. Knott, che abbiano goduto della “protezione della polizia” essendo queste persone nella disponibilità della polizia stessa. Vi sono delle coincidenze e dei punti in comune con l’assassinio di Versace, e anche il modo in cui sono state colpite le due vittime: entrambe con due colpi di pistola alla nuca.
Oltre a una incompatibilità di un giudice, si rileva la singolarità che l’ultima parola sia affidata, nel processo, all’accusa e non alla difesa, prima che i giurati escano per deliberare in camera di consiglio: ciò può avere un effetto di suggestionabilità sui giurati stessi. E ancora non viene permesso ai giudici di indicare alle parti temi nuovi o integrazioni probatorie: la decisione viene presa sulla base di quello che le parti hanno deciso di mostrare.

Secondo Bordi (1970) la teoria bioniana del pensiero è incentrata sul conflitto che si svolge tra un equipaggiamento innato, tendenzialmente orientato nell’ uomo a conquistare la verità scoprendo le nozioni essenziali e collocandole nel referente spazio- temporale, e un insieme di impedimenti emotivi che di continuo interferiscono nel raggiungimento di questo traguardo. Bion considera un assioma la dipendenza della mente dalla verità come dell’organismo dal cibo: “Il senso della realtà ha per l’ individuo la stessa importanza che hanno il cibo, l’acqua, l’ aria, l’eliminazione delle scorie; e come il mangiare, il bere, il respirare inadeguatamente comportano nefaste conseguenze per la vita così la falsità produce disastrosi effetti sullo sviluppo della personalità. Il cosiddetto pseudopensiero è quello fatto di falsi legami, falsi nessi, che crea false teorie, bugie che Bion considera tossiche, veleno per la mente. Le false teorie, talora, appaiono-di primo acchito- perfino verosimili, quasi condivisibili per la loro ovvietà e sono state accostate alle costruzioni architettoniche delle opere di M.C. Escher, denominate da lui “mondi impossibili”; a una indagine più approfondita, si rivelano prigione per il pensiero, ostacolo per la ricerca e la conoscenza, impedimento per lo sviluppo e per la crescita. Alla base delle false teorie c’è quindi la pseudocasualità, nel senso che sono sostenute da falsi nessi, oppure elementi della realtà possono possedere carattere di verità ma essere presi all’interno di una rete di relazioni le cui articolazioni e i cui nessi sono stabiliti in modo tale che il prodotto finale delle elaborazioni e delle trasformazioni sia in ogni caso costituito dalla falsificazione del rapporto con la realtà e con la verità; cioè tali nessi sono posti da una mente che non ricerca la verità, ma è interessata a sostenere una versione falsa e precostituita magari conveniente. Nei disturbi del pensiero il soggetto lo utilizza in modo distorto, allo scopo di evitare la responsabilità relativa alle sue scelte e alle sue azioni; questo aspetto è particolarmente importante nell ‘ambito della giustizia, nel quale i soggetti coscientemente cercano di evitare la responsabilità in rapporto ai reati commessi. La relazione causale conserva un suo valore euristico se funge da preconcezione, ipotesi che attende altri dati empirici per essere confermata e trasformata in tesi, oppure essere ritenuta non valida ed eliminata. Si tratta del metodo
scientifico deduttivo-induttivo, che comporta l’elaborazione di dati veri e verificati e una mente libera che segue tutta la ricerca non curandosi del risultato. Nell’ambito della giustizia la libertà di pensiero può essere una prerogativa del giudice, ma le altre parti in gioco sono per definizione di parte, perseguono un obbiettivo stabilito fin dall’inizio. Lo sviluppo del pensiero non è certo
favorito dalle relazioni pseudocausali, che anzi agiscono come barriera contro l’ignoto; ma non sono utili neppure le relazioni causali semplici e lineari che talora tendono a usare la parzialità come elemento sufficiente a impedire l’ulteriore proseguimento dell’indagine. Lo sviluppo della scienza ha indicato che è più utile sostituire a relazioni causali semplici e parziali la nozione di causalità multipla (Heisenberg 1958) che, pur riconoscendo la necessità logica del significato e del nesso causale, tende alla costruzione di un sistema complesso di correlazione degli eventi in grado di generare pensieri che promuovono l’indagine, la ricerca. Tale sistema di correlazioni genera un campo nell’ambito del quale ciò che a un punto rappresenta un effetto, costituisce secondo un diverso vertice una causa. La ricerca, in qualsiasi campo e pertanto anche nella giustizia, deve avere una forte dimensione etica che assicuri un assoluto rigore nel trattamento dei dati empirici e una libertà di pensiero che ignori il risultato, ma miri a condurre correttamente l’indagine dall’ inizio alla fine.
Già nel titolo Lorenzo Matassa fa una dichiarazione precisa e chiara: si tratta di un processo condizionato da una prospettiva pregiudiziale. Se si vuole incastrare qualcuno ,si raccolgono elementi per far vincere la tesi precostituita di colpevolezza.
“Chi ha incastrato Chico Forti ?” è un libro che permette ai lettori di fare, insieme all’autore, un esercizio teoretico; Lorenzo Matassa ci mostra con rigore tutti i dati a disposizione, facendo prevalentemente osservazioni, rilevazioni, sottolineature; chi legge assume la funzione di giurato e può fare serenamente le proprie considerazioni e arrivare alle proprie conclusioni. Nel contempo, attraverso questo percorso che ci fa compiere l’autore, possiamo intravedere, fra le righe, un altro possibile processo, con un altro possibile imputato. Ciò è inquietante perché da un lato potrebbe esserci un innocente in prigione e condannato all’ergastolo, dall’altro potrebbe esserci un colpevole libero che non è stato indagato pur essendoci una serie di elementi disponibili per essere sospettato.
Questo libro, a mio avviso, è anche un contributo da parte di un uomo di diritto nel correggere una distorsione e una degenerazione della giustizia, nonché un dono, un atto d’amore nei confronti di un uomo in grande difficoltà e sofferenza.